Sumo
Si tratta dello sport nazionale giapponese e, la sua letterale traduzione è “strattonarsi”. Stiamo parlando del sumo (相撲) una lotta corpo a corpo tra due contendenti che hanno l’obiettivo di gettare a terra o di mandare fuori dalla zona di combattimento il proprio avversario.
Le sue origini sono antichissime dal momento che sono risalenti ai primi anni del VI secolo. Il sumo si rifà a degli arcaici riti shintoisti che vedevano i fedeli richiedere un raccolto abbondante.
Inizialmente il sumo era molto più severo di quello odierno dal momento che vedeva anche dei modi di combattimento che in alcuni casi potevano richiamare sia il wrestling che il pugilato.
Si ha notizia che i primi clan di combattenti professionisti iniziarono a costituirsi durante il Seicento in Giappone.
Il sumo si avvale della presenza di due lottatori avente un imponente fisico, che sono chiamati rikishi e che combattono in un’area dedicata alla lotta che si chiama dohyo.
Solamente di sesso maschile, sono organizzati seguendo i dettami del banzuke, ossia una graduatoria generale basata solamente sulla loro capacità e sulla forza indipendentemente dal loro peso.
Un rikisho si evidenzia per via del suo particolare abbigliamento che è costituito solamente dal mawashi, un perizioma che lascia nude tutte le altre parti del corpo e dalla tradizionale acconciatura dei capelli che vengono raccolti in una tipica crocchia che si chiama oi-cho-mage.
Chi pratica questo sport, agli inizi viene chiamato sumotori e solamente se diventa un professionista può essere definito come rikishi.
Ci sono diverse categorie che partono da quella minore che è la jonokuchi e che salgono passando ad essere jonidan, sandanme, makushita, juryo e makuuchi.
Dettami del sumo
Abbiamo già accennato il fatto che l’obiettivo dei lottatori è quello di spingere fuori l’avversario oppure di atterrarlo.
I responsabili della chiamata sono due persone chiamate yobidashi che, all’inizio del combattimento, chiamano singolarmente ognuno dei rikishi che si trovano seduti intorno al dohyo. Poi, l’arbitro (gyōji) annuncia i nomi.
Il rituale prevede che i lottatori si mettono dietro le linee che delimitano l’area di combattimento e battono il suolo con le mani e, a quel punto, incomincia il combattimento e i combattenti possono da quel momento scattare (tachi-ai). L’arbitro deve intervenire laddove la partenza non sia stata corretta, bloccando il combattimento semplicemente mettendo la sua mano tra i due contendenti.
Il vincitore viene dichiarato tale dall’arbitro, quando uno dei due combattenti tocca il suolo con una parte del suo corpo oppure tocchi il confine esterno dell’area di combattimento.
Laddove uno dei giudici incaricati (shinpan) sia di opinione opposta a quella dell’arbitro, deve alzare la mano. A quel punto tutti e cinque i giudici si vanno a riunire sull’arena con lo scopo di prendere una univoca decisione. Il giudice capo, in contatta con la sala video dove sono presenti altri due giudici, può richiedere assistenza a questi per prendere una decisione che può essere favorevole all’interpretazione arbitrale (in questo caso sarà chiamata gunbai-dori) oppure inversa a quanto stabilito dall’arbitro (in questo altro caso si tratterà di gunbai-sashichigai) o, più salomonicamente può richiedere la ripetizione dell’incontro (torinoashi).
Non solo uno sport
Il sumo è anche una forma d’arte rituale. I suoi principali riti sono quelli dello Shiko, lo Yokozuna dohyohiri, il Makuuchi dohyohiri e il lancio del sale. Vediamo di cosa si tratta nello specifico.
Per shiko si intende quel movimento che un rikishi fa mettendosi a gambe larghe e piegando le ginocchia o quando le solleva per poi lasciarle cadere con estrema dolcezza. Si tratta di una pratica che può essere paragonata ad uno stretching ma anche ad un rituale fatto con l’intento di intimorire l’avversario e di mandare lontano i demoni.
Lo Yokozuna dohyohiri è il propiziatorio rito che prevede lo svolgimento delle tradizionali movenze che vanno eseguite dal leader del banzuke prima dell’inizio di tutti i combattimenti.
Il Makuuchi dohuohiri è la tradizionale presentazione di tutti i rikishi appartenenti alla categoria dei Makuuchi e che, prima degli incontri, raggiungono il dohyo per salutare il pubblico eseguendo un rituale che prevede scaramantici movimenti di braccia mentre indossano il kensho mawashi, il grembiule che è colorato con i simboli che rappresentano il rikishi.
L’ultimo rito è quello del lancio del sale che avviene prima di ogni incontro. Tutti i rikishi che si affronteranno, prendono da un contenitore una manciata di sale che poi lanciano sul dohyo come rito propiziatorio per allontanare il rischio di ferite e di cadute.
Lo sport del Sumo
Quando effettuato a livello agonistico, il sumo – i cui dettami si rifanno alla cultura giapponese – è tuttavia molto somigliante a quello della tradizione.
In questo caso non ci sono i rituali sopra accennati, possono partecipare anche le donne e la giuria è composta da un unico arbitro.
A livello professionale i lottatori sono chiamati makushita-tsuekedashi che vengono inquadrati immediatamente all’interno della terza divisione e non partono dal rango più basso soprattutto se trattasi di giovani atleti che hanno conquistato qualche torneo di Mae-Zumo, che è una sorta di anticipazione al sumo che si svolgono solitamente da settembre a dicembre in tutto il Giappone.
Chi vince uno dei tre tornei principali viene incluso nel ranking makushita a livello 15, che è quello più basso (i livelli tendono a salire fino al numero 1).
I grandi campioni sono definiti sanyaku, termine che contiene quattro fasce che identificano il loro livello e che sono komusubi, sekiwake, ozeki e yokozuna che è il top che un lottatore possa raggiungere. Infatti lo yokozuma è il campione per eccellenza e lo si distingue perché unico a poter indossare la tsuna, ossia una pesante corda annodata. Chi entra a far parte degli yokozuna sa bene che, a differenza di altri lottatori, non potrà mai essere retrocesso di rango e che resterà tale fino a quando non deciderà l’intai, ossia il suo ritiro.