Le terribili avventure di Alechan sui treni di Tokyo
Rullo di tamburi, si alzi il sipario!
A grande (ma ‘ndo??) richiesta, colpa vostra che mi avete fomentato, ho deciso di fare un articolo sulla spaventosa, terribile, produttrice di incubi notturni, rush hour di Tokyo.
Siccome però prendere il treno qui è sempre interessante, coprirò anche alcune situazioni che avvengono quando c’è un po’ più di calma, così sapete cosa aspettarvi in qualsiasi caso.
Premetto, io in questo articolo parlerò di quello che succede a Tokyo, nelle altre parti del Giappone non so se sia così, quindi se poi andate a Osaka e non trovate le stesse cose, non mi lanciate i pomodori!
Partiamo col dire che nei giorni feriali circa 12 milioni di persone utilizzano i treni di Tokyo; tra JR, metropolitana e compagnie private c’è un intersecamento pazzesco di linee e capirci qualcosa spesso è difficile.
Tante fermate, uno pensa, vabbè meno persone perché sparpagliate tra tante linee.
Ebbene, no, ci sono infatti, alcuni punti “caldi” di Tokyo, vedi Shinjuku, Shibuya, Ikebukuro, o dall’altra parte Kita Senju, Ueno, che per via di numerose coincidenze con linee che vengono dai distretti limitrofi, sono teatro ogni mattina di scene inverosimili dove vedi gente che per entrare in un vagone strapieno tenta il tuffo carpiato doppio, oppure infila la borsa tra le porte per impedirgli di chiudersi, o ancora appena dentro, tira fuori un braccio per prendere l’ombrello lasciato cadere nella foga di catapultarsi nel vagone, scene dai film di Indiana Jones, avete presente?
In quei luoghi uno deve solo sperare di non esserci tra le 7 e le 9 di mattina dal Lunedì al Venerdì perché in caso contrario… meglio far testamento prima.
Ho già descritto il mio primo giorno in una rush hour.
Ovviamente in tanti anni, di esperienze ne ho avute molte dopo quella, e oggi cercherò di raccontarvene qualcuna.
Intanto c’è da dire che anche in orari normali, prendere il treno potrebbe far scoprire comportamenti inusuali per noi.
Vi do subito un esempio.
Quando siete seduti in metro, se il treno è in procinto di arrivare, voi ovviamente vi preparate a scendere.
Ok, i giapponesi no.
Loro aspettano che la vettura si sia fermata e le porte si siano aperte, per potersi alzare e uscire.
In quei momenti, quando il treno è ancora vivibile, se un omino si alza, magari proprio davanti a te, non è rara l’ipotesi che tu, sebbene abbia il sedile vuoto lì a 10 centimetri, non riesca a sederti.
E perché mi chiederete voi? Perché qualcuno, probabilmente a cinque metri di distanza, ha adocchiato il sedile e tu non fai neanche in tempo a girarti per posare le regali chiappe, che rischi di finire in braccio al suddetto individuo il quale, ad una velocità che rasenta quella del suono, ha fatto quei cinque metri e si è silenziosamente seduto al posto che ti competeva di diritto.
E neanche lo puoi guardare male! Perché appena seduto entra in uno stato di catalessi per cui chiude gli occhi e si perde nel mondo dei sogni.
Puoi solo augurargli che non riesca a scendere alla sua fermata, e nel frattempo rimanere attaccata alla tua manovella salvavita, non sia mai un improvviso afflusso di gente.
Poi ci sono le famiglie… belle… i bimbi giapponesi sono uno spettacolo che ti mangi con gli occhi.
Ma quando sei sulla metro, il bimbo e la bimba adorabili con scarpine colorate e fiocchetti tra i capelli, li mangeresti letteralmente, perché con la famigliola occupano il posto di quattro persone quando sono due e mezzo (il bimbo di 1 anno non vale come un adulto). I genitori, non si capisce perché, permettono ai figli di utilizzare il sedile, che non ha spazi divisori quindi è lungo, come sala giochi dove stare in ginocchio o sdraiarsi.
Io amo i bambini, ma quando ho davanti a me mezz’ora o più di treno, mi piacerebbe vederli in braccio ai genitori o seduti composti così da occupare meno spazio…
In Italia, mi direte, accade lo stesso. Tuttavia uno spera che in Giappone dove il preoccuparsi di recare agli altri meno fastidi possibili è la loro regola di vita, questa cosa non accada.
E invece, la fanno anche qui.
Per il resto, non ricordo altre situazioni particolari a cui abbia assistito in momenti di calma, a parte una volta l’aver visto un salaryman in un’ora non di punta, che in circa 2 secondi di orologio è entrato nel vagone, ha lanciato la sua borsa nel portaborse sopra i sedili, si è attaccato con due mani a due manovelle differenti e si è addormentato sul colpo. Ma proprio sul colpo!
Ho pensato ad una candid camera per quanto la situazione fosse particolare.
Ma arriviamo finalmente al vero paradosso, a quei momenti temuti della giornata in cui sai che entrerai in un treno ma non sai come o quando ne uscirai.
Quando persino la cortesia giapponese viene dimenticata e il comandamento che vige è “mors tua, vita mea”.
Allora, intanto comincio a dirvi che ci sono delle tecniche, oltre all’entrata all’indietro, che possono essere usate per sopravvivere ad una rush hour e guardare le sardine ammassarsi e boccheggiare.
C’è per esempio, quella usata dai salarymen che sono un po’ più alti degli altri.
Loro entrano con passo sicuro nel treno, si fermano in mezzo, per lasciarsi spazio vivibile intorno, e NON SI SCHIODANO.
Non fanno solo le chiappe dure, ma pure le spalle, il torso, diventano un palo nel vero e proprio senso della parola.
Una volta, incavolata nera perché io volevo andare proprio in mezzo a quello spazio vitale che il salary omone-di-ferro aveva lasciato, ho provato con tutta me stessa, coadiuvata dall’onda entrante a sbatterlo in avanti per fare posto.
Non si è mosso di mezzo centimetro.
Ci sono poi quelli che si infilano dietro alle persone che stanno in piedi davanti a chi siede.
In pratica, ci sono i sedili ai due lati del vagone e poi ovviamente davanti ai sedili, le manovelle dove altre persone si mettono in piedi. Il posto che rimane in mezzo è misero, ma con la velocità e la fluidità di una biscia d’acqua, i giapponesi riescono a insandwicciarsi proprio in quel micro spazio.
Lì si salvano la vita perché l’inferno vero accade nei pressi dell’entrata.
Altro posto ambito dai tecnici della rush hour è a lato delle porte, siccome dietro c’è lo schienale laterale dei posti a sedere, il massimo che può succederti è che ti manchi il respiro quando si riempie, ma almeno, essendo contro una parete, non possono spostarti e non ti muovi con la marea informe.
E poi ahimè, c’è la zona morta, il triangolo delle Bermuda, un luogo in cui, se ci finisci in mezzo rischi di scomparire sotto orde di gente che se ne frega degli altri e pensa solo a guadagnarsi i propri 30 centimetri di spazio… che diventano anche 20 in occasioni particolari: il famigerato spiazzo davanti alle porte.
Quando entro, il mio primo sguardo va ai tanto agognati posticini in mezzo alla gente in piedi davanti ai sedili… cerco in ogni modo di farmi strada con tecniche alla pari di un ninja per arrivare a guadagnare quel micro posto tra la borsa di una signora e lo zaino del ragazzetto che gioca con l’iphone.
Se quello non c’è, perlustro tutta l’area intorno a me cercando un luogo che abbia anche un minimo di riparo, una superficie dura a cui tenermi prima che arrivi la marea.
A volte il vagone è così pieno che non riesco ad entrare, o, se ci riesco, rimango all’altezza delle porte e quindi penso, “Beh dai guarda, se non entro io ora, questi vedono la situazione e non ci provano nemmeno a infilarsi”…
Seeeeeeeeee ma maaaaagaaaaaaaaaari!!!
Eppure io ingenuamente ci credevo e lo ho fatto.
Il treno era in ritardo di tre minuti ed ovviamente strapieno, avevo la punta della scarpa fuori dal vagone e ho dovuto piegare la gamba in modo non ortodosso per entrare.
Arrivata alla fermata incriminata, vedevo gli occhi spenti dei salaryman che si accendevano di colpo, come nei cartoni animati quando al protagonista vengono le fiamme nelle pupille.
Si aprono le porte e una, ripeto, UNA SOLA persona scende.
Questo da il diritto ad ogni uomo, donna, cane, gatto, essere vivente e non, di tentare di entrare, o, nel caso dello spingitore, far entrare il maggior numero di persone possibili in quel vagone.
Ed eccoli lì, tra la marea che si precipita ce n’è uno che tenta l’approccio a tuffo per farsi posto, spingere in avanti e guadagnarsi il suo spazio, un altro decide che quel buchino vicino alla signora cinquantenne che sembra stia per collassare da un momento all’altro “è suo e glielo ha dato il destino” e lo punta come un leone la sua preda.
Due neanche mi guardano, mi danno le spalle, mettono le mani in alto per fare forza, e con il caro sedere mi spingono indietro facendomi andare verso il mio sconosciuto compagno di 20 cm, con il quale stavo avendo un incontro ravvicinato del decimo tipo (che sarebbe il “non ti conosco ma ti sto appiccicata come una cozza battendo sulle tue costole con il mio gomito anche se non lo faccio apposta”). Questo signore a sua volta viene mandato indietro, e comincia una reazione a catena dove bisogna utilizzare tutto il posto che c’è e quindi questo flusso a marea sviluppa un’onda che sbatte tra il signor chiappe dure che non si schioda e il tuffatore pazzo che come un pesce fuori dall’acqua continua a muoversi per crearsi uno spazio vitale, fino ad arrivare a, miracolosamente, trovare 30 centimetri liberi! In realtà non erano liberi, è solo che la signora cinquantenne è svenuta ed essendo bassa nessuno se n’è accorto e la gente tra un po’ la calpesta.
Arriva l’altoparlante che dice che se qualcuno si sente male, non deve sforzarsi, ma scendere dal treno.
La signora viene portata fuori e finalmente ci si prepara alla partenza.
In quegli istanti, quando sembra che si sia trovato un equilibrio, eccolo, questo tipo strano, ancora fuori dal vagone strapieno, che da la schiena all’entrata facendo finta di niente.
Nel momento in cui si sente il suono che indica la chiusura delle porte e la voce dell’addetto alla stazione, questo essere, con nonchalance, come se dentro non stessimo tutti sperimentando uno dei gironi dell’inferno dantesco, si infila anche lui, non si sa come, proprio mentre le porte hanno iniziato a muoversi.
Ovviamente non ci riesce del tutto, ma invece di farlo uscire, lo spingitore, da fuori, fa il suo lavoro di spinta e preme verso il signore per fare in modo che entri.
Ci sono momenti in cui, e non scherzo, stai in apnea per un minuto perché il tuo petto non riesce a muoversi per respirare.
Ma quello non è il peggio. Il peggio è quando siamo in inverno, fuori fa freddo e quindi sei coperto con sciarpa, cappottone e cappello, ma dentro c’è l’aria calda sparata a 30 grandi, tu sudi come ad Agosto, e poi… il treno si ferma….
E si ferma pure di botto costringendoti di nuovo a fare il ballo del domino venendo sbattuto in avanti facendo conoscenza con spalle altrui, sentendo i capelli che sono impigliati tra il tuo cappotto e quello di chi ti sta dietro, e quindi che tirano da morire, e lì… la voce del conducente “Ci siamo fermati”.
Ma toh, pensavo stessimo facendo il salto nell’iperspazio.
“Il semaforo è rosso, il treno prima di noi è fermo alla prossima stazione, vi preghiamo di attendere.”
Minuti lunghi come ore… gente che tossisce, gente che deve aver mangiato l’equivalente giapponese dei fagioli con le cotiche, persone che ansimano, il tutto condito da una musica stile punk che esce dalle cuffie di uno studente la cui borsa ormai è diventata uno straccetto informe.
Io mi vorrei togliere la frangia dagli occhi se non fosse che le mie braccia sono intrappolate e siccome i capelli dietro pure sono bloccati, non posso neanche muovere la testa. Resisto soffiando per fare in modo di allontanare i capelli e beccandomi lo sguardo di sette persone perché sì, anche così, c’è un silenzio di tomba e qualcuno dorme.
Interminabile è l’unico aggettivo che mi viene in mente.
E poi, druuuuuuuuuuuuun di nuovo in movimento, improvvisamente, stavolta tutti spinti indietro per cui i miei capelli non sono più impigliati ma la mia testa fa conoscenza con il petto di un salaryman, e direi che dato l’inzuppamento della camicia, potevo portarmi un bagnoschiuma e approfittarne per fare una doccia.
Di nuovo il conducente, “Il treno si sta muovendo”…
Mapporc fhguiserhfpaieuhfpiuhfaihf!!!! Nessuno se n’era accorto!!!!!!!
E poi eccola, la voce femminile registrata che annuncia una delle fermate dove so che scenderanno tante persone. Il treno si riempirà di nuovo ma almeno ho la possibilità di occupare qualche posto tatticamente salvavita!
Si aprono le porte e mezza mandria esce. Mi ficco in uno spazio davanti ad uno seduto, oddio sento le campane che suonano a festa! E così mi guardo la scena.
Vi ricordate all’inizio quando vi dicevo che la gente seduta non si alza fino all’apertura delle porte?
Ecco, lo fanno anche nella rush hour e io NON capisco perché! Puntualmente, quando tentano di alzarsi, il treno si è già riempito un’altra volta e ti ci voglio vedere a dire “Scusate, devo scendere”.
L’aria si fa di nuovo oppressa nelle zone rosse del vagone e col cavolo che la gente che s’è guadagnata il suo posto, si muove rischiando di perderlo per far spazio a chi se n’è stato seduto fino ad allora.
Non è raro che il caro pigrone, non riesca a scendere alla sua fermata e debba farlo a quella dopo.
Poi ci sono i giorni anche peggiori, come quando ci sono ritardi a causa di nevicate, terremoti, tifoni o attacchi di Godzilla.
Solo chi non lavora o non utilizza i treni negli orari più “caldi” può permettersi di trovare bella la neve.
O magari qualcuno che non vive a Tokyo.
Per me, spero sempre che se proprio deve, arrivi nei week end.
Perché non volete sapere cosa diventa il treno delle otto quando ci sono dieci minuti di ritardo.
Non lo volete sapere…
E se dopo questo articolo qualcuno vuole ancora fare esperienza della rush hour… prima fate testamento lasciando tutto alla sottoscritta, mi raccomando! (^_-)