La storia di Alechan in Giappone
Mi chiamo Alessandra, ma da quando vivo in Giappone, poiché i giapponesi trovano il mio nome complesso da pronunciare nel modo giusto, sono rimasta semplicemente Alechan. Vivo a Tokyo da… beh, fissa da sei mesi questa volta, ma la mia storia con questo Paese è lunga e travagliata ed è cominciata più di 10 anni fa, e se vi state chiedendo quanti anni ho sappiate che questo è segreto quanto l’ingrediente della Coca Cola… e poi ad una ragazza non si chiede l’età! (^_-)
Prima di tutto, non cercherò di pormi ad un livello superiore dicendo che del Giappone inizialmente mi ha attirato la cultura o la storia bla bla bla, sarò sincera e dirò che ho cominciato ad avvicinarmi al Giappone grazie ai manga e agli anime. Ero a scuola (liceo classico, si salvi chi può!), la professoressa stava spiegando Catullo, e mentre contemplavo dalla finestra un autobus che non riusciva a sterzare, una mia amica mi passò sotto il banco un fumetto che stava leggendo. Il fumetto, ancora me lo ricordo, era Ranma 1/2. Non so se sia stato amore a prima vista, ma diciamo che il giorno dopo le ho chiesto di portarmi tutti i numeri che aveva perché la storia mi aveva incuriosita. Non che prima non conoscessi i fumetti giapponesi, ma non li avevo mai letti, li trovavo da ragazzini e li avevo sempre evitati fino ad allora.
Da quel giorno è stata una escalation, le prime conventions, i primi amici conosciuti alle varie expo e con i quali scambiarsi informazioni sulle differenti serie, le prime ricerche su internet quando trovavo immagini dei miei manga preferiti e non capivo niente di quello che c’era scritto perché i siti erano in giapponese… Se ci ripenso, mi viene da sorridere. Mi piacevano gli shoujo (i fumetti per ragazze) e relativamente ne leggevo di più, ma le grandi passioni sono sempre state per gli shounen. Per farla breve, i manga, e soprattutto, una edizione del vecchio Expo Cartoon che mi fece incontrare un ragazzo che organizzava viaggi in Giappone, mi portarono in questo Paese per la prima volta più di 10 anni fa, ed io me ne innamorai.
Era un posto totalmente nuovo, diverso, e diciamocelo, un paradiso per una persona che in quel periodo non conosceva altro che manga e anime. Giravamo per i vari Mandarake e K-books riempiendoci di buste e bustine, sconvolti per i sorrisi e i “benvenuto” detti in stereo da tutti i commessi nei negozi…un’altro mondo! Tutte le strade erano pulite, le metro avevano l’aria condizionata, la gente dormiva sui treni… Io, che non avevo mai neanche mangiato giapponese, compravo gli onigiri al tonno e toglievo le alghe perché mi facevano impressione… mi riempivo di cioccolata colorata che neanche mi piaceva, ma era carina da vedere e me la volevo portare dietro. Non ricordo neanche se ho visitato qualche tempio… forse quello di Asakusa, ma onestamente, come ho detto, era il mio primo viaggio, ero in modalità “oh mio Diooooo tutti questi mangaaa!!!” e ricordo pochissimo del lato artistico di quell’esperienza.
La lingua, quella fu un problema enorme. Ci capitava di dover chiedere informazioni ma poi di non riuscire a capire cosa dicevano i sempre gentili giapponesi che incontravamo, e per una come me, che vuole sempre avere tutto sotto controllo, il non capire cosa diceva la gente era frustrante. Quando tornai in Italia presi la decisione che volevo studiare il giapponese e lavorai come una pazza al fine di mettere da parte abbastanza per pagarmi 3 mesi di scuola in Giappone. Tre mesi di scuola trascorsi a Shibuya che mi hanno reso ancora più innamorata di prima. Dimagrii moltissimo durante quel viaggio (tutti chili ripresi dopo…) perché invece di spendere i soldi per mangiare li spendevo per comprare manga… Ah, piccola, ingenua e pure cretina, diciamocelo!
Tornai da quel viaggio con un uno scopo ben preciso, più grande di quello di prima: avrei preso una laurea in lingua giapponese e mi sarei trasferita in Giappone, era il paese dei miei sogni dopotutto. Ovviamente tra me e la realizzazione del mio sogno c’era solo una laurea da prendere… e che sarà mai… Tuttavia, io non sono una persona che si arrende, mi iscrissi all’università di Lingue e Civiltà orientali e cominciai il mio percorso. Non fu facilissimo, per svariati motivi ho dovuto sudare durante quegli anni, ho lavorato per pagarmi gli studi e oltretutto frequentavo anche una scuola di teatro il che, unito all’università ed al lavoro, mi riempì la vita.
Ovviamente ogni estate facevo gli esami ai primi appelli così da poter partire per il Giappone, dove rimanevo fino a settembre per poi rientrare in Italia quando cominciava la sessione autunnale. Furono anni fantastici, conobbi persone che ancora adesso sono con me, italiane, americane, tedesche e soprattutto giapponesi. E studiare non solo la lingua, ma la storia e la cultura del Giappone, mi diede l’opportunità di capire tante cose relative ai giapponesi e al loro modo di rapportarsi con lo straniero. Mi diede l’opportunità di apprezzare la loro arte, la loro letteratura, cominciai a preferire Mishima o Murakami agli ultimi capitoli dei manga che seguivo. Lessi il Genji Monogatari, studiai la letteratura femminile, quella giovanile.
Le nottate passate a farmi entrare in testa i Tokugawa e lo shogunato non le scorderò mai, ma così scoprii che potevo capire tantissimo di questo popolo se mi mettevo a guardare da dove venivano, le loro basi, da dove erano nati. Devo ammetterlo, le cose studiate all’università, unite all’esperienza vissuta sul posto, mi hanno aiutato moltissimo nelle relazioni interpersonali con i giapponesi conosciuti in questi anni.
Poi arrivò anche l’amore… Mi innamorai di un giapponese, e quello rese tutto mille volte più facile. Il mio obiettivo ora non era solo stare in Giappone perché amavo il Paese, ma starci perché amavo qualcuno che viveva in quel Paese. E qui un’altra rivoluzione nella mia vita. Sì, perché anche chi mi ha conosciuto in questi anni, forse non lo sa. Prima, il mio aspetto… era molto diverso, avete presente una mongolfiera? Ecco, io prima ero esattamente così. Una palla rotolante, più larga che lunga. E le giapponesi invece erano magre… magre… maaaaaaaaaaagreeee! Come potevo sperare di competere con loro? Sì ok, ero straniera, capelli non neri, occhi grandi… ma insomma…
Quindi, nel giro di alcuni anni accaddero le seguenti cose, tutte con il preciso scopo di arrivare in Giappone:
– Persi più di 30 chili;
– Mi laureai all’università;
– Mi diplomai alla scuola di teatro.
Con la mia bella linea, la mia laurea e il sogno magari di fare musical in Giappone se ci riuscivo, sono partita per questo luogo in cerca del mio destino. Ok, ok… detto così sembra tutto facile, ma io ci avevo creduto veramente, il Giappone era nella mia vita, una cosa cominciata grazie ad un semplice fumetto, era diventata una parte fondamentale del mio futuro, lo avevo deciso e avrei fatto qualsiasi cosa per arrivare al mio scopo. Ma non è andato tutto bene. Ho incontrato tante persone fantastiche è vero, ma anche tanti bast… ahem, balordi che si sono approfittati della fiducia che riponevo in loro.
Anche l’amore non è stato tutto rose e fiori, il destino non mi ha sorriso sempre. Anzi, diciamo non mi ha sorriso un granché. Dopo aver conquistato il mio bel visto lavorativo, sono venuta a contatto con la feccia della società giapponese, alcune fra le peggiori persone che si possano incontrare. Ciononostante, ho continuato ad amare il Giappone e il suo popolo. Sono stata lì quando c’è stato il terremoto nel 2011. E’ stato difficile e per tante ragioni personali sono dovuta ritornare in Italia nel luglio di quell’anno. Ma non mi sono arresa e un anno dopo sono riuscita a ritornare qui. Ed eccomi ora, ancora a Tokyo, con una laurea, qualche lavoro, situazione sentimentale burrascosa e ancora tanti sogni da realizzare.
Bene, come post di presentazione direi che può bastare, spero di rivedervi presto nel mio blog e come direbbero in Giappone:
これから宜しくお願いします!