Karate
Sebbene le arti marziali non facciano parte della nostra cultura, sono state sempre molto apprezzate dal mondo occidentale e in alcuni periodi hanno vissuto dei veri e propri momenti di gloria, grazie anche ad alcune produzioni cinematografiche americane che ne hanno divulgato tecniche e filosofia. Dopo il grande successo del Kung Fu, dovuto all’ampia diffusione dei film di Bruce Lee negli anni 70, fu nel decennio successivo che la pellicola Karate Kid affascinò grandi e piccini e contribuì in modo notevole alla conoscenza di questa disciplina.
La storia di questa antica forma di combattimento getta le sue radici nel passato della cultura giapponese e nei secoli si è sviluppata generando una moltitudine di stili e arricchendosi di nuove tecniche, sempre più elaborate ed efficaci.
Nel nome di quest’arte marziale ritroviamo tutta la sua essenza. Kara significa vuoto, Te vuol dire mano: Karate può quindi essere tradotto come Mano Vuota, a sottolineare che i combattimenti in questa disciplina non contemplano l’uso di armi, ma si affidano ai soli colpi generati dagli arti del praticante.
Ma il termine Karate può essere interpretato anche alla luce di un suo significato più profondo: per Kara si intende anche il vuoto interiore, inteso come mente sgombra da pensieri di vanità, orgoglio, preoccupazioni e desiderio di sopraffazione, tutte qualità che un buon karateka dovrebbe perseguire non solo durante il combattimento, ma anche nel corso della sua vita.
Origini e sviluppo del karate
Per ripercorrere la storia del Karate è necessario affidarsi alla narrazione orale, perché purtroppo non esiste documentazione certa.
Nacque sicuramente in uno dei più grandi arcipelaghi del Giappone, più precisamente nell’isola di Okinawa: qui, grazie ai frequenti scambi commerciali fra la Cina e le isole giapponesi, risentì enormemente dell’influenza delle arti marziali cinesi, in particolare quelle elaborate dai monaci Shaolin. Tuttavia, nel tempo acquisì dignità di disciplina autonoma ed oggi è una forma di combattimento ben codificata, con proprie tecniche e regolamenti.
Sulla nascita del karate esistono almeno un paio di versioni. La prima sostiene che nacque intorno al 1600, durante l’invasione dei samurai nelle isole Kiūshū: per evitare ribellioni e mantenere la pace, agli abitanti fu vietato il possesso di armi e persino gli utensili di uso quotidiano, come falci e e coltelli, dovevano essere rinchiuse nei magazzini durante la notte. La legenda vuole, quindi, che il popolo cominciò ad allenarsi per combattere l’invasore, dando vita a tecniche di combattimento che non richiedessero l’uso di armi, il Karate, appunto. Ma a voi sembra credibile che semplici contadini sotto assedio, provati dalla fame e dalla guerra, avessero tempo per allenarsi? Già, non molto.
In realtà, prove documentali basate sull’appartenenza dei maestri di karate alle caste più alte della società giapponese, fanno pensare che questa disciplina sia stata messa a punto dall’aristocrazia del paese, composta da nobili, appartenenti alla corte del re e influenti notabili.
In seguito, nel corso del diciannovesimo secolo, al karate fu riconosciuto il suo vero valore educativo e si cominciò a insegnarlo nelle scuole: fu quello il momento in cui vennero formalizzate le varie tecniche, che dettero vita a differenti stili di combattimento.
Gli stili del Karate
Con il passare del tempo il karate si è modificato e suddiviso in numerosi stili, caratterizzati da prestazioni e tecniche differenti. Ad oggi, sebbene sopravvivano decine di stili diversi, l’organizzazione mondiale del karate, che raggruppa le varie federazioni nazionali, ne riconosce solo 4:
• Shotokan – è lo stile più praticato nel mondo. Basato sui principi zen, prima ancora che il combattimento in sé, promuove il miglioramento della persona, stimolando principi di umiltà, pazienza, compassione e rispetto per l’avversario. È caratterizzato dal mantenimento di posizione lunghe e profonde, che permettono un’efficace stabilità e il potenziamento della forza nelle gambe.
• Shitō-Ryū – questo stile di karate esalta al massimo il combattimento. Alterna tecniche dure ad altre più morbide, fa un grande uso di movimenti circolari e richiede molta velocità nell’esecuzione delle posizioni, il che lo rende uno degli stili più spettacolari da un punto di vista artistico.
• Gōjū-Ryū – tra tutti gli stili, questo è quello che si è modernizzato di meno e continua a mantenere un forte legame con l’aspetto più spirituale di questa disciplina. Viene infatti riservata grande importanza alla respirazione, come modo privilegiato per convogliare il ki, l’energia primordiale.
• Wadō-Ryū – fondato nel 1934, questo è l’unico stile originario del Giappone, a differenza di tutti gli altri sviluppatisi nell’isola di Okinawa. Si basa su un insieme di tecniche che prediligono la schivata alla classica parata dei colpi e si configura un ottimo metodo di difesa personale.
Karate: soprattutto una filosofia di vita
Sebbene il karate richiami alla mente combattimenti violenti e colpi mortali, questa disciplina insegna tutt’altro. Basata sui valori di umiltà e considerazione per l’essere umano, il karate insegna la pazienza, l’autocontrollo e la conoscenza di se stessi. La sua filosofia va ben oltre il dojo, il luogo vero e proprio nel quale si insegnano le tecniche fondamentali, ma permea l’intera vita del karateka, che ricorre a questa pratica solo in funzione di autodifesa e mai per aggredire o offendere l’avversario. Il karate non è quindi solo un’arte in cui eccellere durante i combattimenti, ma rappresenta un’occasione unica per apprendere la gentilezza e il rispetto, per sé e per gli altri. Non a caso la disciplina non è fatta di sole tecniche di combattimento, ma prevede anche l’apprendimento di gesti codificati, che si limitano ad insegnare il controllo del corpo e della propria forza.
Le specialità del Karate
Con il tempo il karate è divenuto una disciplina sportiva e le palestre di ogni città organizzano corsi per grandi e piccoli, sia come semplice occasione per fare un po’ di esercizio fisico, sia per avviare i più abili a gare e campionati.
Dal punto di vista sportivo, il karate è suddiviso in due specialità:
• Kata – questa parola ha il significato di “forma” e si concretizza in una serie di gesti codificati che mimano il combattimento. Simulando una serie di attacchi e parate, l’atleta mette in mostra la propria abilità, la potenza fisica, la tecnica acquisita, il ritmo e l’espressività con cui esegue i movimenti. In questo tipo di competizione, vince chi dimostra di saper meglio interpretare i kata, che normalmente sono circa quarantina.
• Kumite – questa specialità è il vero e proprio combattimento, nel quale il karateka affronta un avversario per qualche minuto, a seconda della categoria di appartenenza. Nel kumite si utilizzano tutte le tecniche del karate, quindi pugni, calci e proiezioni, che possono essere indirizzati su viso, testa, collo, nuca, addome, fianchi e schiena. Ma non spaventatevi: il contatto non deve mai essere eccessivamente violento e i comportamenti scorretti sono penalizzati dall’arbitro.
Il karategi, fra simbologia e funzionalità
Per praticare il karate si utilizza un abito particolare, il karategi, che permette ampia libertà di movimento e una buona traspirazione. Questa divisa da allenamento è molto simile a quella da Judo, ma si differenzia sia per la qualità del cotone, che è meno ruvido, sia per la maggior larghezza di casacca e pantaloni. Entrambi gli indumenti sono totalmente privi di bottoni e cerniere e la giacca viene stretta in vita da una cintura che, a seconda del grado di esperienza dell’atleta, può essere di diverse tonalità. Al contrario, la divisa è sempre rigorosamente bianca. La ragione risiede nella simbologia di questo colore, che rimanda a un concetto di purezza, qualità che ogni karateka deve possedere. La tradizione orale racconta anche che il bianco richiama i fiori di ciliegio, che insieme alla spada, erano il simbolo dei samurai; ma forse la vera ragione dell’utilizzo del bianco risiede nel fatto che, in casi di ferite accidentali durante il combattimento, il rosso del sangue risulta immediatamente visibile.
Ad ognuno la propria cintura
Il vestito bianco, quindi, viene tenuto insieme da una cintura colorata. Ma cosa significa, che ognuno può scegliere la sua nuance preferita? Ovviamente, no. I colori delle cinture hanno un significato simbolico ben preciso e raccontano molto del grado di apprendimento raggiunto dal karateka. Dalla bianca alla nera, ecco tutte le cinture da conseguire al fine di percorrere l’intero cammino spirituale, prima ancora che agonistico, del vero praticante.
• Bianca – il colore della purezza. Rappresenta l’inizio del lungo percorso.
• Gialla – richiama il colore del seme pronto a germogliare. Il praticante si avvia nel suo difficile viaggio.
• Arancione – il colore del fuoco e dell’aggressività che deve essere domata e tenuta sotto controllo. Il praticante sta imparando a gestire le sue abilità.
• Verde – rimanda alla natura e al mondo vegetale. Così come la pianta percepisce ciò che la circonda, anche il karateka impara a diventare consapevole del tutto.
• Blu – il cielo e l’infinito. Per chi pratica il karate, nulla è impossibile: alla crescita non c’è limite.
• Marrone – con questo colore, quello della terra, il karateka ricorda di rimanere saldamente ancorato a principi di umiltà e a rammentare da dove viene e quanto ha appreso.
• Nera – il nero è la somma di tutti i colori precedenti. Finalmente il karateka ha appreso tutti gli elementi necessari all’elevazione di se stesso ed è pronto per il perfezionamento.
La cintura nera, infatti, non è la fine del percorso, ma l’inizio di un lungo periodo in cui il karateka affina le sue conoscenze e procede lungo la strada che porta alla piena profondità spirituale.
Da qui in poi, la cintura nera si classifica in 10 dan, ovvero in gradini che aggiungono, l’uno dopo l’altro, differenti livelli di conoscenza.
Questa suddivisione in colori, però, non è sempre esistita ed è frutto del karate più moderno che, in qualche modo, si è ispirato al sistema delle cinture del judo.
Nei secoli passati la cintura della divisa era sempre e solo bianca, ma si dice che fosse proprio la sua tonalità a comunicare il livello di esperienza del karateka: un bianco abbagliante era tipico del giovane praticante, mentre una cintura molto sporca, tendente al nero, era sicuramente indossata da un karateka di lungo corso. Probabilmente questa è solo una leggenda, ma non vi è dubbio che ogni atleta di questa disciplina sa bene che quel pezzo di stoffa è solo un mezzo per tenere su i pantaloni: il vero praticante ricorda sempre che non è la cintura a fare di lui un vero combattente, ma lo è soltanto il livello di spiritualità raggiunta.
Negli ultimi decenni questa particolare arte marziale è divenuta uno sport largamente praticato.
Nonostante ciò, rimane ancora una notevole differenza fra coloro che intraprendono il karate, inteso come semplice sport, e quelli che si inerpicano lungo la strada del karate-do, la vera essenza di questa arte marziale: una via da percorrere lungo la trascendenza, alla ricerca della piena conoscenza di se stessi e del significato della vita.