Giappone per mamme
Mi presento: mi chiamo Annalisa e sono arrivata a Tokyo da poco meno di tre settimane insieme alla mia modesta famigliola: Javi (mio marito) e Olivia (nostra figlia – 10 mesi appena compiuti). Non rimarremo molto, se i piani lavorativi di Javi non cambiano, ripartiremo tra un paio di mesi. Insomma, giusto il tempo per smettere di sentirsi turisti e non abbastanza per arrivare a ordinare un piatto in giapponese (o forse sì, ma questa è già una questione di buoni propositi).
Vorrei farvi vedere Tokyo con i miei occhi di mamma sfaccendata a spasso per la città ma soprattutto con gli occhi ad altezza zainetto di Olivia, la mia bambina superstar, che qui in Giappone ha scoperto di avere tantissimi fan. Chi l’avrebbe mai detto che questo popolo così serio, così composto, così disciplinato si scateni con i bambini piccoli: ogni giorno in metro Olivia miete decine di vittime, le signore ridacchiano mentre si fanno tirare i capelli o scippare il portafogli dalla mia piccola cleptomane, le ragazze ammiccano divertite, i vecchietti salutano, alcuni ragazzi addirittura fotografano, ci manca solo che qualcuno ci chieda l’autografo. Persino ai “salaryman” (la temibile classe impiegatizia giapponese) strappiamo un sorriso.
Sarà che Olivia è bionda, sarà che è proprio bellissima (infallibile giudizio materno), sarà che ha messo a punto un repertorio di battimani, saluti e sorrisi da vera diva professionista, fatto sta che con lei è più facile scambiare quattro chiacchiere in un inglese rudimentale (o addirittura a gesti) con quasi chiunque.
Probabilmente non riuscirò a fare e a vedere tutto quello che farei e vedrei da sola (forse mi perderò anche un grande must del divertimento locale: il karaoke), ma d’altra parte è un Giappone inusuale quello che sto vivendo con Olivia, un Giappone stranamente sornione e affettuoso, oltre che piuttosto preparato alla logistica infantile (stazioni della metro accessibili ai passeggini, fasciatoio in quasi tutti i bagni pubblici, marciapiedi con rampe, zone gioco nei centri commerciali…).
Infine vi dirò che non sono mai stata un’appassionata dell’estremo oriente; nei miei viaggi ho sempre scelto mete più a sud, diciamo più africane; anzi mi sono sempre considerata una grande estimatrice della bellezza caotica di certe città chiassose e indefinibili come Dakar, Bamako o Abidjan. Mi sentivo impreparata per sopportare l’estetica dell’armonia giapponese. E invece…ci si abitua proprio in fretta. E viene pure da pensare che in questo scenario (dove tutto è calcolato nei dettagli, tutto è pensato per essere anche bello oltre che funzionale) si vive più facilmente e forse si vive meglio.
Tre cose che fanno di Tokyo una città baby-friendly
Una delle cose che le mamme straniere apprezzano di più della città (e che tutti i giapponesi con cui ho parlato ci tengono assolutamente a ribadire) è il “fattore sicurezza”; diciamo che è rilassante per una che va in giro con lo zaino sempre aperto, che perde una decina di oggetti a settimana, che ha sviluppato una personale filosofia del non attaccamento alle cose col solo scopo di restarci meno male di fronte all’ennesimo smarrimento, in poche parole, da soddisfazione non doversi più porre il problema: qui tutto quello che perdi lo ritrovi semplicemente facendo il cammino a ritroso perché nessuno si sogna di prendertelo. Il passeggino lo lasciamo fuori alle intemperie perché tanto chi vuoi che se lo rubi e quando Olivia mi lancia a una certa distanza gli oggetti che io le do per giocare (tipo le chiavi di casa o la scheda magnetica della metro) c’è sempre qualcuno che me li riporta scusandosi (che se c’è una che si dovrebbe scusare – e un po’ vergognare – per convertire tutto in un giochino, con pessimi risultati pedagogici, quella sarei io).
Un’altra cosa ammirevole è l’abbondanza di verde. In questo, Tokyo è una città generosa. I parchi sono tanti e tutti molto belli. Alcuni sono veramente impressionanti in quanto a cura del dettaglio (Shinjuku Park), altri sono semplicemente immensi e rigogliosi (Yoyogi Park, Ueno Park), spesso costellati di templi grandi e piccoli. Passeggiarvi è una meraviglia. I parchi sono anche il ritrovo preferito dei gruppi di mamme straniere e giapponesi che si organizzano per passare insiemi il tempo libero (che con un bambino al collo non si può veramente chiamare “libero”, più che altro disimpegnato). Girando per la città si trovano tantissimi giardinetti dotati come minimo di un castelletto, due altalene e un recinto con la sabbia… Fa piacere.
Infine, un ultimo elemento che a mio personale parere dimostra la sensibilità dei giapponesi nei confronti del mondo dei più piccoli è la quantità di animaletti ed esserini assurdi che popolano i loghi dei locali, le indicazioni stradali, le fermate dell’autobus per non parlare dei cartelloni pubblicitari.
Sembra il mondo adulto pensato in una classe delle elementari. L’estetica è quella, e secondo me i bambini lo notano e sanno apprezzare.
Tre cose che complicano la vita delle mamme a Tokyo
Dopo tante lodi, mi sembra giusto parlare anche degli aspetti più spinosi della città che ci rendono la vita difficile. Il primo grande ostacolo è la barriera linguistica, fatto ovvio ma non fino a questo punto. Posto che la maggior parte di noi arriva qua all’arrembaggio, senza sapere quasi nulla di giapponese e magari al seguito di un consorte in trasferta di lavoro che manco lui ha questa grande passione per le lingue orientali, posto che le prime visite al supermercato o al ristorante danno luogo a scene quasi fantozziane (ma come… ma io credevo… nooo… ma questa è la cena… ah scusi lei, ma…), posto che l’inglese non lo masticano in tanti per dirla con un eufemismo… per farla breve, le difficoltà comunicative sono enormi.
Nei precedenti viaggi non mi era mai successo di sentirmi così smarrita in una giungla d’iscrizioni incomprensibili, in una specie di analfabetismo di ritorno. Pensandoci bene questa è l’esperienza più vicina al mondo percettivo di mia figlia: un’immersione costante in un vortice di parole e segni indecifrabili.
Di conseguenza, se stai cercando di afferrare cosa contiene la confezione di biscottini che sembrano plasmon ma hanno il disegnino di un’alga, o se il pesciolone non identificato che stai comprando può entrare a far parte del menù della tua prole non del tutto svezzata o se stai mettendo sul sedere di tua figlia una crema che magari è per i denti… auguroni!!!
E non provare a chiedere ai dipendenti del negozio in cerca di nebulose informazioni, li manderai in confusione. Insomma non è facile orientarsi. Alcune di noi, so che ricorrono a determinati supermercati che vendono prodotti internazionali (o anche solo prodotti con etichette “internazionali” (che basta e avanza). Le altre si arrangiano come possono.
Il secondo elemento di difficoltà sono le grandi distanze, e la dispersione generale dei quartieri; nonostante la metro sia efficiente e rapida, gli spostamenti sono comunque un po’ faticosi e c’è sempre tanto da camminare. D’altronde Tokyo non è un paesino di campagna e questo me l’aspettavo.
Infine un’ultima cosa. Personalmente, un impiccio non piccolo è quello di non poter allattare “en plain air”. Con grande disdetta delle mamme frikkettone della mia generazione a cui è stato insegnato il vincolo sacro veicolato dal latte materno (mio marito la chiama la setta dell’allattamento) e la disinvoltura di attaccare il pupo al seno ovunque e comunque come se si stesse rivendicando un diritto inalienabile, qui non si può proprio fare. C’è una zona per allattare così come ce n’è una per fumare e lo spontaneismo che regna sovrano in Europa è bandito; o comunque è piuttosto malvisto.
Le “nursery” sono stanzette anguste nei centri commerciali, nelle stazioni o nei musei dove entri e, fondamentalmente, ti nascondi dietro vari paraventi e tende affinché quello sia il momento più intimo della giornata con tuo figlio. Io purtroppo ho abituato male la mia, che quando ha fame non si fa problemi a divulgare pubblicamente la sua voglia di latte gridando e scavando come una forsennata nei miei vestiti. Mi sa che comprerò uno di quei bavagli soffocanti che coprono integralmente il bambino e ti forniscono la discrezione necessaria per allattare in pubblico: i burka dell’allattamento.
Quell’ineffabile eleganza orientale
Qualcuno mi sa dire come fanno le mamme giapponesi ad essere sempre così curate, eleganti e a volte proprio tirate a lucido come bamboline appena uscite dall’estetista?
Portano con disinvoltura tacchi vertiginosi e bambini in braccio. Cambiano i pannolini con unghie che sembrano lezioni di storia dell’arte (con tanto di sfumature, e minuscoli affreschi policromi). Sfoggiano gonnelline immacolate, giacchette impeccabili, ciglia lunghissime e mille accessori. E tutto sempre con un certo stile, che magari non è proprio il nostro, ma che qui, nel regno degli accostamenti bizzarri e dei gadget assurdi, è in linea con il resto.
No, perché io e le mie colleghe mamme straniere non ci facciamo una bella figura! Già partiamo un gradino sotto. La cura del corpo e dell’aspetto fisico è lo sport nazionale dei giapponesi, prima del golf e delle arti marziali.
Da noi non è esattamente così, per quanto anche in Italia ci dedichiamo con un certo zelo ad arricchire un esercito di estetiste, parrucchiere, gestori di negozi e beauty farm. Però qui, l’impegno estetico del giapponese medio è impressionante.
E le mamme sembrano delle vere aliene. Ho visto con i miei occhi una mamma in minigonna con un lattante nello zainetto e un paio di zeppe che la proiettavano verso l’universo infinito, spingere la sua primogenita su un’altalena.
Voglio dire, i miei sforzi eroici per non uscire in pigiama (certe mattine anche farsi la doccia diventa uno scoglio) e per mantenere l’abc dell’igiene personale sono immediatamente eclissati da queste campionesse dell’eleganza. Immaginatemi con i capelli arruffati dall’umidità di Tokyo, una maglietta con un buco ramingo nel lato in cui ho tentato di togliere l’etichetta e un paio di pantaloni sui cui Olivia ha vomitato, che faccio la spesa di fianco a una radiante mamma locale il cui bambino dorme felice, mentre la mia si arrampica sul passeggino e sgraffigna qualcosa dai banconi.
Insomma il confronto è duro. Alcune maligne dicono che le mamme giapponesi sono sempre così in forma perché, nella maggioranza dei casi, quando si sposano smettono di lavorare e si dedicano forsennatamente alla famiglia e a se stesse. Ma devo ammettere che, per il momento, io sono nella stessa condizione (almeno fino a settembre sono a casa) e nonostante ciò ho abbandonato ogni velleità di stile e ho abbracciato in pieno la filosofia della “praticità innanzitutto”. Secondo me, il trucco sta altrove, anche se devo ancora capire dove. Hanno veramente una marcia in più queste signore mamme.
Sudori e malori: come sopravvivere all’afa della metropoli
Di certo, se Amélie Nothomb avesse scritto un libro sulla torrida estate di Tokyo l’avrebbe chiamato così. Luglio è appena cominciato e già si suda a fiumi. E’ un caldo umido, serpeggiante, che fa un po’ effetto “bagno turco” e si manifesta in un’omogenea patina di sudore che ti copre la faccia, il collo, le mani, ecc… In determinati momenti anch’io desidero ardentemente quella pezzuolina colorata che ogni essere umano di nazionalità giapponese nasconde in tasca. La pezzuolina è una vera istituzione. Loro la tirano fuori nell’esatto momento in cui la gocciolina minacciosa sta per finire nel collo della camicia; uomini, donne e bambini (anche reciprocamente) si asciugano senza sosta colate laviche di sudore con questo magico pezzetto di stoffa.
Mia figlia fa certe chiazze sul passeggino… ma anche a questo, mi hanno detto, c’è un rimedio made in Japan: una specie di imbottitura che si mette in frigo e che si infila tra la schiena del bambino e lo schienale del passeggino per tenerlo fresco. Devo dire che il sistema “gelato sotto e cotto sopra” non mi convince fino in fondo, ma comunque c’è una mente giapponese che ci ha pensato e questo è ciò che conta.
In generale, per evitare la cottura al vapore, io e mia figlia abbiamo adottato le seguenti strategie:
- Cerchiamo di evitare di uscire nelle ore centrali della giornata. Si tratta di un eccellente proposito in linea generale che non seguiamo quasi mai, visto che alle 6 continua a fare un gran caldo, mentre le piscine e le attività per bambini chiudono verso le 5;
- Quando ce la vediamo brutta ci buttiamo nella metro, i vagoni sono delle celle frigorifere, ci si può passare una piacevole mezz’oretta di ibernazione;
- Frequentiamo con grande zelo piscine (ce n’è una meravigliosa a 5 minuti dalla stazione di Meguro) e parchi giochi indoor (il nostro preferito è Kodomo No Shiro a Omotesando, un’oasi di pace e aria condizionata);
- Ci fermiamo ad ogni distributore automatico di bibite (una fermata ogni dieci metri circa perché la città ne è letteralmente infestata) ad abbeverarci di acque colorate, succhi tonici, thè verdi e strane miscellanee di bevande (caffè energizzato, estratto di fagiolo rosso) che l’unico luogo della terra in cui hanno qualche speranza di essere vendute è in Giappone e d’estate.