Geisha
Quando si parla di Giappone una delle prime associazioni di idee che si materializza nella testa dei più è lo ieratico volto di una geisha (芸者), figura di una donna poliedrica che può esibirsi in arti diverse come la danza, il canto e la musica.
Figura di spicco durante il Sette e Ottocento, al giorno d’oggi il loro numero si è assottigliato riducendo di molto la loro partecipazione nella vita sociale giapponese.
Storia della Geisha
Le cortigiane di un tempo, chiamate saburuko, possono definirsi come il prototipo della geisha. Il loro compito era quello di intrattenere i notabili dell’epoca e videro il massimo della loro popolarità duranti il VII secolo per poi, diminuire gradualmente perché sostituite da prostitute di alto bordo, chiamate juuyo, che riscossero un immediato successo tra i nobili.
È necessario attendere fino agli inizi del XVII secolo per ritrovare quelle che possiamo definire donne d’arte che vennero richieste, insieme alle juuyo, durante importanti feste. Furono le prime geishe che, in origine, erano interpretate da uomini.
Un po’ come accadde in Italia con i castrati chiamati ad esibirsi al pubblico per cantare, anche in Giappone le geishe uomini avevano l’incarico di ballare, cantare e fare battute spiritose per allietare gli ospiti.
Fu però durante il secolo dopo che apparvero le geisha donne che offrirono quella fisiologica femminilità impossibile da avere da parte dei travestiti tanto da avere un immediato successo che le fece acquisire l’esclusiva su questa professione.
Spesso la geisha viene confusa con una prostituta e questo lo si deve storicamente al periodo Edo dove lo shōgun legalizzò la prostituzione in tutto il Paese facendo nascere case di piacere e bordelli. Alle geisha fu vietato di acquistare l’autorizzazione di prostituzione ma non essendoci molti controlli, per molte di loro ci fu una doppia vita.
L’ordine delle cose avvenne solo nell’Ottocento quando in Giappone vennero istituite delle leggi che precisavano le differenze che dovevano intercorrere tra le case delle geisha (okiya), le case da tè (ochaya) e i bordelli. Tutte queste realtà erano relegate all’interno di una zona della città detta hanamachi (花街), ossia città dei fiori. I primi quartieri del genere furono due (Yoshiwara e Shimabara) che trovarono sede nella capitale imperiale di Kyoto.
Nel frattempo la moda per il Sol Levante che aveva iniziato a contagiare l’Europa influenzandone elementi culturali e di tendenza, inviò un messaggio errato a proposito delle geisha come se questa null’altro poteva essere se non un’artista del sesso e, quindi, una femmina provocante e sensuale che andava in controtendenza con un certo puritanesimo vittoriano.
Se ne resero ben conto i militari americani quando sbarcarono in Giappone durante la seconda guerra mondiale credendo di trovare nella geisha, una perfetta femmina ben disponibile ma trovando, invece, donne emancipate e colte.
Nonostante questo dato di fatto, l’idea di geisha prostituta non solo non svanì ma addirittura aumentò grazie alla politica dello stato maggiore delle forze armate che assoldò un vero esercito di prostitute (le geisha girls) che aveva il compito di intrattenere i soldati bisognosi di compagnia banalizzando il vero ruolo della geisha.
Le caratteristiche
Si chiama maico (舞妓) l’apprendista geisha che, agli occhi degli occidentali, è lo stereotipo della tradizionale geisha perché indossa kimono particolarmente colorati, si sistema i capelli con complicate ed astruse acconciature e usa un elaborato make up.
Nella tradizione popolare si incominciavano ad apprendere le arti per diventare geisha già in tenera età.
All’interno delle okiya vigevano regole molto severe per le quali le ragazze, prima di divenire maico e successivamente geisha dovevano guadagnare varie fasi sotto il controllo di una okaa-san (ossia mamma) che era la proprietaria della okiya.
Durante il primo stadio di insegnamenti le ragazze erano identificate come shikomi e dovevano limitarsi a fare da domestiche: un duro impegno per forgiare il loro carattere. In questo periodo, se la shikomi lo riteneva opportuno, poteva far frequentare alla shikomi le classi di scuola per geisha dell’hanamachi dove imparare a suonare degli strumenti tradizionali, cantare canzoni tipiche, apprendere la danza, istruirsi sul modo più giusto per servire il tè ed il sakè, creare ikebana e altro ancora.
Si prestava molta attenzione allo studio del kyō-kotoba (京言葉), il dialetto di Kyoto.
Superato un esame di danza le ragazze passavo al secondo grado di studio, diventando minarai alle quali era evitato il lavoro domestico. Coadiuvate da geishe esperte apprendendo le articolate tradizioni giapponesi come il saper indossare il kimono ed il saperlo scegliere.
In questa fase era per loro possibile assistere ai banchetti dove le geisha intrattenevano i clienti, pur senza parteciparvi attivamente. Dopo una mesata la ragazza passava al terzo stadio dell’apprendimento chiamato maiko e dove lei era una maiko che doveva imparare da una onee-san, ossia una sorella minore il cui compito era quello di insegnarle tutti i segreti e del caso e l’arte della conversazione.
Questo periodo poteva essere anche particolarmente lungo perché maturava una maiko fino a trasformarla geisha e, da quel momento in poi, avrebbe potuto ripagare il debito che inizialmente aveva contratto con l’okiya.
Le geisha nel nostro presente
Il rituale di formazione ed educazione della geisha oggi non è molto diverso da quello di un secolo fa dal momento che le materie nelle quali specializzarsi sono le stesse e che oggi il loro codice di comportamento è quello del kenban (検番), una specie di albo professionale che obbliga le iscritte a severe regole morali ed estetiche che arrivano a codificare anche lo stile di vita.
L’onorario della geisha è fissato da Enti appositamente adibiti ai quali la geisha deve rendere conto e sulla base del numero degli incontri ha partecipato e della loro durata, vada a ricevere lo stipendio che si basa proprio su questi coefficienti.